Racconti d’inverno. Storie dell’Arte da Bacco a Gesù è il titolo dalla mostra che la Galleria Caretto & Occhinegro ha allestito all’interno degli spazi dell’Antonello Colonna Resort di Labico: una mostra asciutta ma ricca di opere importanti, sapientemente valorizzate da una illuminazione crepuscolare e da un gioco di sedute di diverse forme, stili e gradi di comfort che catapultano il visitatore all’interno di una atmosfera dickensiana. Di seguito vi riportiamo un estratto dell’introduzione alla mostra
Il tempo dei racconti
La narrazione, sia essa quella di un libro, di un piatto o di un’opera d’arte, necessita di tempo.
Il tempo della storia e, soprattutto, il tempo dell’ascolto.
In un periodo storico come questo, in cui sembra imporsi un’infinita estate -climatica ma anche mentale- suona quasi provocatorio intessere l’elogio dell’Autunno e dell’Inverno.
Quel particolare periodo dell’anno in cui il tempo rallenta (o dovrebbe rallentare), la luce diminuisce e la stasi prende il sopravvento sul baccano estivo, per dare spazio a piaceri più profondi, più intensi.
È questa l’accoglienza ideale con la quale vogliamo introdurvi a questa mostra: un bicchiere di vino per meditare, un fuoco, la nebbia, la voglia di ascoltare una storia.
I nostri “racconti d’Inverno” sono storie dell’arte, ma anche del mito e dell’uomo, in cui le parole prendono forma concreta attraverso il pennello degli artisti, con l’esplicito intento di diventare quei “Conversation pieces”, cioè quelle opere d’arte di cui i grandi collezionisti inglesi amavano circondarsi per trascorrere i lunghi inverni britannici, in grado di stimolare l’occhio e prima di tutto la mente dell’osservatore.
Si parte, dunque, con la mitologia classica, che fu quasi ossessionata dall’Inverno: in un tempo arcaico, in cui non era possibile dimenticarsi del freddo come oggi, la metà più dura dell’anno
assume la forma sublimata della giustificazione mitologica.
Per iniziare, la figura del Dio dei Morti, Ade/Plutone, che rapendo Proserpina dà inizio alla stagione in cui la Natura cessa di offrire i doni di un tempo, idealmente al servizio di Cerere (Dea dei raccolti), disperata per il rapimento di sua figlia. Questa vicenda è una chiave di lettura che, in luoghi anche molto lontani e sotto nomi differenti, dà all’inverno la forma di un dramma divino famigliare, le cui conseguenze ricadono sull’uomo.
Se la grande tela di Brueghel il Vecchio con il Trionfo di Nettuno ed Anfitrite è una sorta di canto di fine estate, con le sue nuvole che preannunciano la fine della bella stagione, un primo
nucleo di opere, dunque, è dedicato a queste figure mitologiche, venendo a creare una sorta di racconto nel racconto.
La figura di Plutone campeggia sorniona nel piccolo dipinto di Dirk van Hoogstraten (forse autoritratto ironico del pittore stesso), quasi a volersi scusare con noi per aver creato tutti questi problemi al genere umano per via delle sue passioni. La corona ricca di gioielli, l’antro in cui è ambientata la vicenda e, soprattutto, il forcone bidente sono tipici attributi del Dio dei Morti, che quindi non va confuso con suo fratello Poseidone/Nettuno
Sua suocera, Cerere, è tutt’altro che ironica nel paesaggio notturno di Jan Brueghel e Frans
Francken. Senza tregua, la dea vaga in cerca della figlia con un cero in mano e l’aspetto quasi di una fattucchiera alata. Ovunque, chiede di Proserpina e si lamenta disperata, non permettendo alla terra di fiorire. Alle soglie di una capanna contadina, incontra la cieca anziana Ecuba, che non ne può riconoscere le fattezze e le offre da bere. La Dea -esausta- fa cadere la brocca e per questo viene derisa dall’imprudente Stelio, un ragazzino dispettoso che pagherà salata la sua i n s o l e n z a . C e r e r e , i n f a t t i , l o trasformerà in una lucertola, come si vede nel nostro dipinto: che tutti sappiano che non si scherza con una madre in lacrime.
Ma proprio perchè l’Inverno è un periodo duro, qualcosa ci si dovrà pur inventare per renderlo migliore? E allora bisogna seguire l’adagio latino che è anche il titolo del dipinto di Franz Christpoh Janneck “Sine Cerere et Baccho friget Venus” Senza Bacco e Cerere, gela Venere! Nel pieno dello spirito Rococò, l’artista austriaco inscena un’autentica sarabanda di corpo e di colori. Il motto latino, infatti, allude proprio all’Amore carnale, che và riscaldato col vino (Bacco) e con il cibo (Cerere, che qui è meno arcigna e più generosa). Allora le algide ninfette p o s s o n o r i l a s s a r s i c o i r u b i c o n d i s a t i r i , i n un’atmosfera galantemente erotica, che del mito antico ama recuperare la gioia dei corpi, nella convinzione che sia proprio l’inverno il periodo dell’anno in cui l’abbraccio amoroso riscalda con maggiore piacere!
Passati i secoli, l’inverno non perde il suo fascino narrativo, anzi: per il cristianesimo diventa fondamentale con la ricorrenza del Natale, che sostituisce i vecchi miti, per creare nuovi racconti.
L’adorazione die Magi che abbiamo scelto per questa occasione è particolarmente ricca di ricercate simbologie, con quello spirito ancora medievale e quel peculiare amore per i significati nascosti. Così, se i doni dei Magi sono notoriamente allusioni simboliche (Oro, metallo dei re; Incenso per i riti religiosi; Mirra, il profumo con il quale si preparano i corpi dei defunti, allusione alla futura passione di Cristo), l’albero che sta prodigiosamente rifiorendo al centro della scena è allusione alla rinascita/resurrezione che Cristo porterà nel mondo, mentre lo strano pozzo che si apre in primo piano è il così detto “antro della nascita”, la famosa grotta in cui Maria avrebbe partorito e che sarebbe stata nei sottrerai di un tempio abbandonato, utilizzato come stalla da alcuni pastori (e che crea la nota confusione nel presepe: capanna o grotta? Entrambe le cose!).
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